Il video qui sopra, girato da un abitante di Wuhan e condiviso con Internet occidentale via Twitter a Hong Kong, è il simbolo adatto ad esprimere il carattere fondamentale delle misure prese dallo stato. [xvii] Le riprese mostrano, in sostanza, un certo numero di persone – che sembrano essere dottori o soccorritori – mentre, indossando l’equipaggiamento protettivo completo, si scattano una foto con la bandiera cinese. La persona che gira il video spiega che costoro frequentano la zona esterna a quell’edificio ogni giorno per varie operazioni fotografiche. Il video segue poi gli uomini che si tolgono l’equipaggiamento protettivo e si fermano a chiacchierare e fumare, e addirittura usano una delle tute per pulire l’auto. Prima di andarsene, uno degli uomini getta senza tante cerimonie la tuta protettiva in un vicino bidone della spazzatura, senza nemmeno preoccuparsi di infilarlo fino in fondo per non farlo vedere. Video come questo si sono diffusi rapidamente prima di essere censurati: piccoli colpi di scena nella rappresentazione esibita dallo stato.
La guerra surreale
Nel frattempo, la maldestra risposta precoce al virus, la scelta dello stato di affidarsi a misure particolarmente punitive e repressive per controllarlo e l’incapacità del governo centrale di coordinarsi in modo efficace con i territori decentrati per il mantenimento di un equilibrio tra produzione e quarantena, sono altrettanti indicatori della radicale incapacità della macchina statale. Se,
come sostiene il nostro amico Lao Xie
, l’enfasi dell’amministrazione Xi è stata sulla “costruzione dello stato”, sembra che resti ancora molto da fare al riguardo. Allo stesso tempo, se la campagna contro COVID-19 può anche essere letta come una battaglia corpo-a-corpo contro l’insurrezione, va notato che il governo centrale ha dimostrato di essere capace di fornire un coordinamento efficace solo nell’epicentro dello Hubei, mentre i provvedimenti presi per altre province – anche in località ricche e rinomate come Hangzhou – rimangono in gran parte scoordinati e inefficaci. Possiamo interpretare tutto ciò in due modi: in primo luogo, come lezione sulla debolezza nascosta sotto all’apparente solidità del potere statale; in secondo luogo, come una messa in guardia dalla minaccia rappresentata dai provvedimenti delle autorità locali. Infatti, quando il meccanismo dello stato centrale è sopraffatto, il mancato coordinamento può portare a risposte scoordinate e irrazionali.
Queste sono lezioni importanti per un’epoca in cui la distruzione provocata dall’accumulazione incessante [di capitale] ha esteso i propri tentacoli sia verso l’alto, nell’atmosfera, sia verso il basso, nel substrato microbiologico della vita sulla terra. Tali crisi diventeranno sempre più comuni. Man mano che la secolare crisi del capitalismo va assumendo un carattere apparentemente non economico, nuove epidemie, carestie, inondazioni e altri disastri “naturali” verranno usati per giustificare l’estensione del controllo statale. E tale risposta alla crisi da parte degli stati rappresenterà una grandiosa opportunità per sperimentare modalità nuove, ancora non testate, di controinsurrezione. Una politica comunista coerente deve cogliere entrambi questi fatti insieme. A livello teorico, questo significa comprendere che la critica del capitalismo si impoverisce ogni volta che viene separata dalle cosiddette scienze dure. A livello pratico, questo significa che l’unico possibile progetto politico è quello capace di orientarsi su un terreno caratterizzato dalla diffusione del disastro ecologico e microbiologico, e capace di agire in questo perpetuo stato di crisi e di isolamento sociale.
Nella Cina in quarantena iniziamo a intravvedere, abbozzato, un simile scenario: le strade vuote di fine inverno spolverate di neve non calpestata, le facce illuminate dal telefono che scrutano fuori dalle finestre, casuali barricate con un piccolo numero di infermiere al lavoro o di poliziotti o di volontari o semplicemente di attori, pagati per issare bandiere e dirti di indossare la mascherina e tornare a casa. Il contagio è sociale. Quindi, non dovrebbe sorprendere che l’unico modo per combatterlo in una fase così avanzata sia quello di scatenare una sorta di guerra surrealista contro la società stessa. Non riunitevi, non provocate il caos. Ma il caos si può provocare anche in una situazione di isolamento. Mentre i forni di tutte le fonderie si raffreddano cedendo il posto, prima, a braci leggermente scoppiettanti, poi, a ceneri fredde come la neve, non si può impedire a queste tante isolate disperazioni di uscire dalla quarantena per dare forma, insieme, ad un caos ancora più grande che potrebbe un giorno risultare difficile da contenere, come questo contagio sociale.
NOTE
[i] Gran parte di ciò che spiegheremo in questa sezione è semplicemente un riassunto conciso delle argomentazioni di Wallace, rivolte ad un pubblico più ampio, senza la necessità di “presentare il caso” ad altri biologi attraverso l’esposizione di argomentazioni rigorose e prove approfondite. Per coloro che vorrebbero contestare le prove di base, ci riferiamo in tutto il testo al lavoro di Wallace e dei suoi compatrioti.
[ii] Robert G Wallace, Big Farms Make Big Flu: Dispatches on Infectious Disease, Agribusiness, and the Nature of Science, Monthly Review Press, 2016. p. 52.
[iii] Ibid, p. 56.
[iv] Ibid, pp. 56-57.
[v] Ibid, p. 57.
[vi] Questo non vuol dire che il confronto degli Stati Uniti con la Cina di oggi non fornisca informazioni. Dal momento che gli Stati Uniti hanno un proprio enorme settore agroindustriale, esso stesso contribuisce in modo esorbitante alla produzione di nuovi virus pericolosi, per non parlare delle infezioni batteriche resistenti agli antibiotici.
[vii] Si veda: Brundage JF, Shanks GD, “What really happened during the 1918 influenza pandemic? The importance of bacterial secondary infections”. The Journal of Infectious Diseases. Vol. 196, No. 11, December 2007. pp. 1717–1718, author reply 1718–1719; Morens DM, Fauci AS, “The 1918 influenza pandemic: Insights for the 21st century”. The Journal of Infectious Diseases. Vol. 195, No. 7, April 2007. pp. 1018–1028.
[ix] A modo loro, queste due vie di produzione della pandemia rispecchiano ciò che Marx chiama sussunzione “reale” e “formale” nella sfera della produzione vera e propria. Nella sussunzione reale, il processo di produzione stesso viene modificato attraverso l’introduzione di nuove tecnologie in grado di intensificare il ritmo e l’entità della produzione, in modo simile a quello con cui l’ambiente industriale ha cambiato le condizioni di base dell’evoluzione virale così che le nuove mutazioni sono prodotte ad un ritmo accelerato e con maggiore aggressività. Nella sussunzione formale, che precede la sussunzione reale, queste nuove tecnologie non sono ancora implementate. Le forme di produzione preesistenti vengono semplicemente riunite in nuove sedi che hanno rapporti con il mercato globale, come nel caso degli operai tessili che lavorano con il telaio a mano, collocati in una fabbrica che vende i prodotti del loro lavoro per fare profitti. Questo processo è simile al modo in cui i virus prodotti in contesti “naturali” vengono spostati dalle popolazioni animali selvatiche e introdotti nelle popolazioni animali domestiche attraverso il mercato globale.
[x] Tuttavia è un errore equiparare questi ecosistemi a quelli “pre-umani”. La Cina ne è un esempio perfetto, dal momento che molti dei suoi paesaggi naturali apparentemente “incontaminati” erano, in effetti, il prodotto di periodi molto più antichi di espansione umana che spazzarono via specie precedentemente diffuse nell’est asiatico continentale, come gli elefanti.
[xi] Nel linguaggio tecnico questo è un termine generico per 5 o più virus distinti, il più micidiale dei quali è a sua volta semplicemente chiamato virus Ebola (precedentemente virus Zaire).
[xii] Per il caso specifico dell’Africa occidentale, cfr.: RG Wallace, R Kock, L Bergmann, M Gilbert, L Hogerwerf, C Pittiglio, Mattioli R and R Wallace, “Did Neoliberalizing West African Forests Produce a New Niche for Ebola,” International Journal of Health Services, Vol. 46, No. 1, 2016; per una visione più ampia della connessione tra le condizioni economiche e il virus Ebola in quanto tale, cfr. Robert G Wallace and Rodrick Wallace (Eds), Neoliberal Ebola: Modelling Disease Emergence from Finance to Forest and Farm, Springer, 2016; per dichiarazioni più schiette e meno accademiche, cfr. l’articolo di Wallace, al link sopra: “Neoliberal Ebola: the Agroeconomic Origins of the Ebola Outbreak,” Counterpunch, 29 July 2015.
[xiii] Cfr. Megan Ybarra, Green Wars: Conservation and Decolonization in the Maya Forest, University of California Press, 2017.
[xiv] È certamente errato affermare che tutto il bracconaggio sia condotto dalla popolazione povera rurale locale o che tutte le guardie forestali nelle foreste nazionali dei diversi paesi operino allo stesso modo degli ex paramilitari anticomunisti, ma gli scontri più violenti e i casi più aggressivi di militarizzazione delle foreste sembrano essenzialmente seguire questo schema. Per una panoramica ad ampio raggio del fenomeno, cfr. Il numero speciale di Geoforum (69/2016) dedicato all’argomento. La prefazione può essere trovata qui: Alice B. Kelly and Megan Ybarra, “Introduction to themed issue: ‘Green security in protected areas’”, Geoforum, Vol. 69, 2016. pp.171-175.
[xv] Di gran lunga la meno pericolosa di tutte le malattie menzionate qui, l’alto bilancio delle vittime da essa causato è stato in gran parte il risultato della sua rapida diffusione a un gran numero di ospiti umani. In termini assoluti ha provocato un elevato numero di morti ma in termini relativi risulta fatale solo in pochi casi.
[xvi] In un’intervista podcast, Au Loong Yu, riportando i pareri di amici che vivono nell’area continentale, afferma che il governo di Wuhan è effettivamente paralizzato dall’epidemia. Au suggerisce che la crisi non stia solo lacerando il tessuto sociale, ma anche la macchina burocratica del PCC, e questo processo si intensificherà quando il virus si diffonderà a tal punto da mettere in crisi le autorità governative locali di tutto il paese. L’intervista è di Daniel Denvir di The Dig, pubblicata il 7 febbraio:
https://www.thedigradio.com/podcast/hong-kong-with-au-loong-yu/
[xvii] Il video è autentico, ma bisogna notare che Hong Kong è stata un focolaio particolare di atteggiamenti razzisti e di teorie cospirative dirette contro gli abitanti della Cina continentale e contro il PCC, per cui ciò che viene condiviso sul virus sui social media da parte della gente di Hong Kong dovrebbe essere attentamente controllato.